lunedì 19 agosto 2013

Work in progress

Tra non molto, giusto il tempo di finire il libro che sto leggendo, e tornerò per condividere con voi quelle che sono state le mie scelte di letture estive !
Spero di darvi qualche buon consiglio !  :)

lunedì 17 giugno 2013

Mappa Riassuntiva

Propongo qui ora un percorso riassuntivo del blog, giusto per chiarire un po' le idee !

                                        La conoscenza e l'intelletto-> Ulisse e il folle volo                                                   http://caterinagallone.blogspot.it/2013/04/pensando-alla-storia-vengono-subito-in.html

                                        Il sapere nei secoli-> In principio era il logos
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/04/in-principio-era-il-logos.html
                                         
                                        Oltre i confini-> Marco Polo e le vie della seta
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/la-via-della-seta.html

                                        Innovazioni tecnologiche-> Rivoluzione industriale, Oliver Twist
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/un-mondo-in-mutamento-rivoluzione.html

                                        Conoscenza storica-> L'esercito romano
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/un-salto-nellantica-roma.html

                                        Tecnologia storica-> I mulini a vento, Don Chisciotte
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/06/i-grandi-dolanda-mulini-vento.html

                                        Alla scoperta delle origini-> Tecnologia nella mitologia
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/06/questoggi-ci-occupiamo-di-unargomento.html


Appare chiaro che il mio intento sia proprio quello di riscoprire la tecnologia e la conoscenza attraverso la letteratura nei secoli.

Spero di esservi stata utile finora !

martedì 11 giugno 2013

Mitologia e tecnologia

Quest’oggi ci occupiamo di un argomento che sembra scostarsi un po’ dai miei scopi e dalle questioni solitamente trattate, ma che in realtà mi affascina molto, e che risulta in realtà vicino alla storia e alla tecnologia. Parliamo dei miti nel mondo antico.

La mitologia per l’uomo era strumento eccelso per dare spiegazioni valide a fenomeni non spiegati scientificamente, ci occupiamo qui di alcuni dei miti più inerenti la tecnologia e la sua nascita.
La tecnologia ha sempre avuto un ruolo rilevante, basti pensare ad Efesto, il fabbro degli dei, a cui vengono attribuite le più stupefacenti invenzioni mitologiche, quali la folgore di Zeus e l’arco di Apollo.

Molto conosciuto è il mito di Dedalo e Icaro. Dedalo, nato ad Atene, era re della città. Si dedicò alla scultura e all'architettura; a lui sono attribuite le invenzioni dell'ascia, la sega, il trapano, il passo della vite, l'archipenzolo. E' stato maestro di suo nipote Talo, figlio di una sua sorella, che uccise per gelosia quando Talo superò il maestro nella sua arte. L'Areopago, il tribunale, lo condannò all'esilio perpetuo; Dedalo si rufugiò a Creta dove fu accolto benevolmente dal re Minosse che gli commissionò il Labirinto per rinchiudere il Minotauro. A Dedalo, si rivolse Arianna, la figlia di Minosse, per sapere come aiutare Teseo a uccidere il Minotauro e uscire dal Labirinto, e come sappiamo il consiglio del filo riuscì a far trionfare Teseo nell'impresa. Quando Minosse venne a sapere che ad aiutare sua figlia e Teseo fu Dedalo, e non potendo prendersela con la figlia fuggita insieme all'eroe, pensò di punire Dedalo, rinchiudendolo insieme al figlio, Icaro, nel Labirinto, che egli stesso aveva progettato. L'unico modo per uscire dal Labirinto era evadere volando; ingegnoso come era, Dedalo costruì due paia di ali, uno per sè e l'altro per il figlio. Si raccomandò con Icaro di restargli sempre dietro durante il volo, di non strafare e soprattutto di stare attento a non avvicinarsi troppo ai raggi del sole perchè, le ali, attaccate alle spalle con della cera, potevano staccarsi in quanto il calore avrebbe sciolto la cera. Come non detto, Icaro durante il volo, provando piacere si allontanò dal padre e raggiunse i raggi del sole che sciolsero la cera e lo fecero precipitare nel mare, dove morì. Dedalo triste e desolato, atterrò in Campania a Cuma, dove costruì un tempio al dio Apollo, consegnando le ali che aveva inventato per evadere dal Labirinto di Creta.

Interessante risulta essere il mito di Prometeo.
Prometeo,  aveva la virtù di prevedere il futuro, quando i Titani sfidarono Zeus e vennero da lui imprigionati nel Tartaro, preferì schierarsi dalla parte di Zeus, inducendo Epimeteo a seguire il suo esempio. In verità, Prometeo era il più intelligente della sua razza; aveva assistito alla nascita di Atena dalla testa di Zeus e la dea stessa gli insegnò l'architettura, l'astronomia, la medicina, l'arte di lavorare i metalli, l'arte della navigazione e altre utilissime, che egli poi a sua volta insegnò ai mortali. Ma Zeus, che aveva deciso di distruggere l'intero genero umano, ed era stato distolto da tale proposito soltanto dall'intervento di Prometeo, si irritò nel vedere gli uomini divenire sempre più esperti e potenti. Nel primo scontro con Zeus Prometeo imbandì un vitello di cui aveva fatto due parti: da un lato le carni celate sotto il ventre dell'animale, dall'altro le ossa, ravvolte nel morbido grasso. Poi, disse a Zeus di scegliere la sua parte; l'altra doveva andare agli uomini. Zeus, ingannato dall'apparenza, scelse la sacca con il grasso, e, quando scoprì che nascondeva soltanto ossa, divenne furente contro Prometeo e contro i mortali che erano stati favoriti da quell'inganno. Così punì l'oltraggio strappando agli uomini il fuoco, ma Prometeo li soccorse di nuovo sottraendo semi di fuoco al carro del Sole e portandoli sulla terra. Dopo quest’atto, oltraggioso nei confronti degli dei, Prometeo fu incatenato a una rupe della Scizia, dove un'aquila gli rodeva il fegato che sempre si rinnovava nella notte. Solo più tardi Eracle uccise l'aquila e liberò Prometeo; ma Zeus ingiunse a Prometeo di portare, a perenne ricordo della sua prigionia, un anello delle sue catene, dove fosse incastonato un pezzetto della roccia alla quale era legato.


Prometeo era venerato nell'Attica come dio delle arti. 

lunedì 3 giugno 2013

I ''grandi'' d'Olanda - Mulini a vento

"Ed ecco intanto scoprirsi da trenta o quaranta mulini da vento, che si trovavano in quella campagna; e tosto che don Chisciotte li vide, disse al suo scudiere: «La fortuna va guidando le cose nostre meglio che noi non oseremmo desiderare. Vedi là, amico Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più smisurati giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita cominciare ad arricchirmi colle loro spoglie; perciocché questa è guerra onorata, ed è un servire Iddio il togliere dalla faccia della terra sì trista semente. — Dove, sono i giganti? disse Sancio Pancia. — Quelli che vedi laggiù, rispose il padrone, con quelle braccia sì lunghe, che taluno d'essi le ha come di due leghe. — Guardi bene la signoria vostra, soggiunse Sancio, che quelli che colà si discoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino. — Ben si conosce, disse don Chisciotte, che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disugual tenzone.» Detto questo, diede de' sproni a Ronzinante, senza badare al suo scudiere, il quale continuava ad avvertirlo che erano mulini da vento e non giganti, quelli che andava ad assaltare".


La frase "combattere contro i mulini a vento" viene utilizzata quando ci si scontra con nemici immaginari, o anche quando la battaglia viene considerata persa in partenza.
In questo caso, però, ci soffermiamo sui mulini a vento reali, non dettati dalle lotte civili, sociali, e psicologche, illustrando le loro funzioni, la loro storia, e qualche piccola curiosità.

Storia e funzioni 
I mulini a vento hanno origine persiana. Gli storici sono concordi nell'affermare che i primi esemplari vennero costruiti nel VII secolo d.C. nei territori che oggi appartengono all'attuale Iran.
Il mulino a vento è una struttura costruita per sfruttare l'energia del vento trasformandola in energia meccanica utilizzabile per scopi o processi agricoli, artigianali e industriali.
Erano sostenuti da strutture innalzate sulla torre di un castello o in cima ad una collina ed erano costituiti da un vano superiore che ospitava le mole e da uno inferiore che alloggiava il rotore.
Utilizzati per macinare cerali e azionare le pompe per l'irrigazione dei campi, i mulini persiani erano dotati di pale di stuoia intrecciate che, spinte dal vento, mettevano in moto una ruota alla quale queste erano fissate.
Era anche abitudine ricoprire metà della ruota, spesso con un muro: un accorgimento attraverso il quale non si rischiava che le pale, trovandosi momentaneamente controvento, frenassero il movimento della ruota.
L'uso dei mulini non si diffuse immediatamente in tutto il mondo: per vederli arrivare in Europa, infatti, dobbiamo aspettare il XII secolo.
Si può dedurre l'inizio di questa 'esotica' usanza grazie ad una bolla pontificia datata 1105, nella quale si autorizzava la costruzione di mulini a vento nelle diocesi di Coutances, Bayeuz e Evreux.
I mulini europei erano molto più grandi rispetto a quelli persiani, oltre ad essere dotati di un maggior gradi di complessità.
I mulini a vento hanno avuto una notevole importanza nel sollevamento dell'acqua in Olanda e in Inghilterra prima dell'invenzione della macchina a vapore.
Nell'area del Mare Mediterraneo orientale in passato si era diffuso anche un modello di mulino eolico chiamato mulino fenicio, in cui le pale erano posizionate all'interno del corpo della costruzione, di forma cilindrica. Le finestre sul mulino indirizzavano l'aria all'interno muovendo le pale. Questo tipo di mulino era adatto a zone con venti deboli ma costanti. Un bell'esempio di mulino fenicio è situato nel comune di Borgio Verezzi in provincia di Savona.
In Italia antichi mulini a vento a sei pale, conservati o restaurati, sono ancora utilizzati nelle saline di Trapani per la macinazione del sale o per il pompaggio dell'acqua marina da una vasca all'altra della salina.

 I mulini in Olanda

Per secoli i mulini (molen) sono stati uno strumento irrinunciabile della vita degli olandesi; infatti ancora oggi per dire che qualcuno è impazzito, si dice che deve essere stato colpito in testa dalla pala di un mulino. In passato nei Paesi Bassi c’erano più di 10.000 mulini e venivano spesso usati sia per la macinazione industriale del mais, che per drenare l’acqua in eccesso. I mulini a vento sono festeggiati ancora oggi: nella Giornata nazionale del mulino e per le festività nazionali vengono decorati con fiori, immagini di angeli ed in alcuni casi con la bandiera olandese.


Storicamente, i mulini a vento olandesi avevano molte funzioni. La più importante era probabilmente pompare l’acqua dal terreno e immetterla nei fiumi al di là delle dighe, per ottenere terreno coltivabile. Nel quattordicesimo secolo i mulini vuoto all’interno erano usati per far funzionare enormi ruote che prosciugavano i terreni acquitrinosi.
Il Mulino de Roos a Delft è nato ad esempio con questa funzione, e solo nel diciottesimo secolo è stato ricostruito su una base in pietra più alta; oggi è stato restaurato ed è visitabile.

Ad Amsterdam c’è il Mulino de Otter, l’unico mulino-segheria ancora in attività; il Mulino de Valk (“Il Falco”) di Leida, ora restaurato, è tornato a macinare il grano, ed è anche un museo, a testimonianza della storia dei  mulini a vento nella zona.

lunedì 27 maggio 2013

Un salto nell'antica Roma

Il mio intento quest'oggi è di parlarvi di qualche curiosità sull'esercito romano, mostrandovene le tecniche, la furbizia, l'ingegno, e l'efficienza. 
Anche se in questo caso si tratta di tecniche belliche, a chi non farebbe piacere un piccolo salto nel nostro glorioso passato ?

L'esercito romano fu l'insieme delle forze militari terrestri e di mare che servirono Roma antica, nella serie di campagne militari che caratterizzarono la sua espansione, dall'epoca dei sette re, alla Repubblica romana, all’epoca imperiale e fino al definitivo declino.

'' [...] riguardo alla loro organizzazione militare, essi hanno questo grande impero come premio del loro valore, non come dono della fortuna. Non è infatti la guerra che li inizia alle armi e neppure solo nel momento dei bisogno che essi la conducono [...], al contrario vivono quasi fossero nati con le armi in mano, poiché non interrompono mai l'addestramento, né stanno ad attendere di essere attaccati. Le loro manovre si svolgono con un impegno pari ad un vero combattimento, tanto che ogni giorno tutti i soldati si esercitano con il massimo dell'ardore, come se fossero in guerra costantemente. Per questi motivi essi affrontano le battaglie con la massima calma; nessun panico li fa uscire dai ranghi, nessuna paura li vince, nessuna fatica li affligge, portandoli così, sempre, ad una vittoria sicura contro i nemici [...]. Non si sbaglierebbe chi chiamasse le loro manovre, battaglie senza spargimento di sangue e le loro battaglie esercitazioni sanguinarie. ''
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 5.1.71-75.)

La superiorità romana nelle imprese belliche era dovuta a vari fattori: la perfetta organizzazione, il continuo addestramento, il cambiamento innovativo dei mezzi e delle armi, la diversità dei luoghi o del nemico, che portavano ad apprendere o ad inventare tecniche e strategie sempre nuove. Il tutto era condotto con estrema consapevolezza, razionalità e creatività. 

Il cittadino romano sentiva parlare sin da piccolo delle incredibili gesta di padri, nonni, avi; al che, sin dall'infanzia veniva addestrato alla vita militare; studiava arte militare e trascorreva 10 anni di formazione negli accampamenti e sui campi di battaglia. 
Tutti gli uomini della penisola erano chiamati alle armi. Dai 17 ai 45 anni erano destinati alle guarnigioni mobili per il pronto impiego nei luoghi richiesti, dai 45 ai 60 erano destinati alle guarnigioni territoriali per presidiare le città in tempo di guerra.

Le tecniche di questo periodo erano molto simili a quelle di altri popoli italici, in particolare ai Latini, di cui Roma faceva parte, e non dovevano essere di sicuro migliori di quelle utilizzate nella vicina Magna Grecia. Si trattava di un combattimento semplice ma violento, non particolarmente ordinato, tra poche centinaia di uomini dei vicini villaggi, che poteva durare anche pochi minuti, difficilmente alcune ore.Vi era poi la consuetudine di lanciare un potente grido di guerra per intimorire l'avversario, prima dello scontro. A ciò si aggiungeva il fatto che spesso, sempre per scoraggiare il nemico, venivano battute le aste o le spade contro gli scudi generando un grande fragore: questo donava anche la sensazione di un esercito molto numeroso, ben armato, e potente.

Ora sulla base dei recenti ritrovamenti archeologici si è potuto notare che il primo esercito romano, quello di epoca romulea, era costituito da fanti che avevano preso il modo di combattere e l'armamento dalla civiltà villanoviana della vicina Etruria. I guerrieri combattevano prevalentemente a piedi con lance, giavellotti, spade, pugnali ed asce; mentre solo i più ricchi potevano permettersi un'armatura composta da elmo e corazza, gli altri una piccola protezione rettangolare sul petto, davanti al cuore, delle dimensioni di circa 15 x 22 cm.

Il combattimento, in verità, prevedeva, sulla base delle tradizioni omeriche, una serie di duelli tra i "campioni" dei rispettivi schieramenti, in genere tra i guerrieri più nobili, dotati di maggior coraggio e abilità (ad esempio l'episodio tramandatoci degli Orazi e Curiazi), equipaggiati con il miglior armamento. I patrizi ed i loro clienti più ricchi, combattevano in prima linea, i soli a potersi permettere armature, scudi, spade, elmi di qualità, oltre ad una cavalcatura. 
L'esercito di Romolo, descritto da Tito Livio, potrebbe essere stato, quindi, un'anticipazione di quello di epoca successiva di Servio Tullio. Secondo Livio, infatti, sarebbe stato Romolo a creare, sull'esempio della falange greca, la legione romana, formata da 3.000 fanti e 300 cavalieri. La legione si disponeva su tre file, con la cavalleria ai lati. Ogni fila di 1.000 armati era comandata da un tribunus militum, mentre gli squadroni di cavalleria erano alle dipendenze dei tribuni celerum.

Formidabili l'esperienza e le tecniche dei Romani in fatto di guerra d'assedio. Essi erano in grado di isolare rapidamente i luoghi da assediare. Vi costruivano intorno un'ampia cerchia di fortificazioni, realizzavano terrapieni che diventavano, piattaforme su cui si innalzavano le macchine da guerra: alte torri mobili per avvicinarsi alle mura nemiche; arieti - travi con testa di metallo, sospesi entro tettoie mobili - per aprire brecce nelle mura; catapulte e baliste per scagliare grossi dardi e proiettili di ogni genere.
Il soldato romano era in grado di fare lunghe marce, procedendo con una buona velocità e con un pesante bagaglio che si aggirava sui 40 kg. Ogni legionario portava infatti con sè le armi e le attrezzature per l'accampamento, nonchè viveri per 15 giorni e oltre. Partendo da Roma, le legioni erano in grado di raggiungere Brindisi in 15 giorni, Colonia in 67, Antiochia in 124, compresi i 2 di navigazione. Questa velocità di trasferimento delle truppe, straordinaria per il mondo antico, era possibile grazie anche al fitto ed efficiente sistema viario che nella storia di Roma ha sempre ricoperto una decisiva importanza strategica.

Oltre all'Italia l'Africa, la Spagna, la Gallia, la Britannia erano percorse da una fitta rete di vie di comunicazione che, nate come strumenti di dominio, svolsero poi anche una fondamentale funzione civilizzatrice.

Quando le truppe romane marciavano in un territorio nemico, ogni sera le legioni, anche per la sosta di una sola notte, scavavano un campo trincerato secondo un modello ricorrente: di forma quadrata, era circondato da un fossato, protetto da una trincea (vallum) realizzata con la terra scavata dal fosso e con una palizzata. Il campo aveva quattro porte, una per lato: la pretoria, di fronte al nemico, la decumana dalla parte opposta, mentre le altre due si chiamavano principali.

In epoca imperiale l'estensione dei confini impose la necessità di un esercito permanente, perciò la leva si basò su coscrizione volontaria, costituendo un esercito professionale, necessario perchè la sopravvivenza dell'Impero non poteva essere salvaguardata da truppe occasionali.

Nei periodi di pace i soldati venivano impiegati non solo nella costruzione e nella manutenzione di apprestamenti militari, ma anche in lavori di pubblica utilità. Ogni legione aveva nel suo organico degli specialisti, genieri, capaci non solo di edificare o abbattere mura e fortificazioni, ma anche di eseguire i rilievi per un canale, di progettare e costruire strade, ponti, e quant'altro. 


Spero di aver dato una visione d'insieme dell'esercito romano, suscitando magari curiosità per queste antiche tecniche non del tutto perdute, dato che alcune delle strategie militari attualmente usate si rifanno proprio a quelle adoperate nell'antica Roma. L'Impero Romano è e resterà sempre un capitolo fondamentale della nostra storia, base del nostro vastissimo patrimonio culturale. La conquista continua di terre, , le opere pubbliche, l'organizzazione interna,furono alcuni dei fattori che lo portarono al massimo splendore. A noi resta il piacere della scoperta, dell'apprendimento, e della storia.






mercoledì 15 maggio 2013

Un mondo in mutamento - Rivoluzione Industriale


Parlare di rivoluzione industriale significa alludere all'avvio del processo di industrializzazione che ebbe luogo in Inghilterra nella seconda metà del settecento. La disponibilità di materie prime a buon prezzo, il controllo delle vie commerciali e dei mercati coloniali, la disponibilità per il lavoro di fabbrica di masse di lavoratori espulsi dalle campagne, e la disponibilità di nuove tecnologie, gettano ottimi presupposti  per l’avvio di questo processo di grande cambiamento.
La rivoluzione industriale è un processo di evoluzione economica che da un sistema agricolo- artigianale- commerciale- porta ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i combustibili fossili).
La parola rivoluzione nasconde uno sviluppo che in realtà è stato molto graduale. Effettivamente però il processo di industrializzazione ha cambiato la storia degli uomini: dalla cosiddetta ‘rivoluzione neolitica’ non vi è stato nella storia umana un cambiamento più grande. In ogni caso, il nuovo modo di produrre proveniente dall'Inghilterra  il modo industriale, o capitalistico (come dirà poi Marx), si diffuse rapidamente in tutto il continente, per spostarsi poi verso il resto del mondo. Il modo di produrre introdotto in questo periodo lo distingue da tutti i suoi precedenti: ha la capacità di far crescere con una certa regolarità la produzione. Da questo momento in poi le società sono capaci non solo di produrre, 
ma di accrescere il loro prodotto, ovvero di svilupparsi economicamente.

Nasce così la classe operaia che riceve, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge allo stesso tempo il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira esclusivamente ad incrementare il profitto della propria attività.

La rivoluzione industriale provocò complessivamente un impressionante aumento della ricchezza, che andò principalmente a favore delle classi alte, anzitutto della borghesia capitalistica. Gli operai dal canto loro ricevevano bassi salari, e le donne e i bambini - impiegati su vasta scala - retribuzioni ancora inferiori. In generale i lavoratori non potevano fare affidamento su un impiego stabile, poiché ogni fase sfavorevole del ciclo produttivo causava ondate di disoccupazione senza che essi potessero contare su alcuna forma di protezione sociale. Gli orari di lavoro erano mediamente da 13 a 15 ore giornaliere. I ragazzi con più di 6 anni erano impiegati in larga misura in fabbrica; e con essi persino bambini di 5 o addirittura di 4 anni.

Di questo sfruttamento della forza lavoro, e della pessima condizione dei minori, Dickens ne parla nel suo celebre libro ‘Oliver Twist’.

Oliver Twist

Dickens ha scritto quello che è diventato un classico della letteratura universale a soli venticinque anni. E come altri lavori di Dickens, Oliver Twist mette in evidenza diversi problemi sociali dell’Inghilterra nella prima metà del 1800, come il lavoro minorile, il reclutamento dei bambini per il crimine e le condizioni di degrado delle città.
Ambientato in Inghilterra all'inizio del XIX secolo, "Le avventure di Oliver Twist" racconta l'appassionante storia di un orfanello, cresciuto in un ospizio di mendicità, che viene costretto ad unirsi a una banda di malviventi e a partecipare con questi a furti e rapine. Oliver vive un’infanzia di sofferenza, subisce maltrattamenti ed è costretto a patire fame ed umiliazioni. Nessuno lo può aiutare, ogni bambino dell’ospizio ha il solo scopo di sopravvivere a quella miserevole e disumana esistenza.

Egli inizialmente non è consapevole della risma delle persone che lo stanno accogliendo, ma pian piano ne avrà coscienza. Oliver è buono e ingenuo e, nonostante tutte le sofferenze, è incapace di provare risentimento o odio. Dopo innumerevoli, drammatiche peripezie, e con l'aiuto di alcune persone che si affezionano a lui, Oliver riesce tuttavia a trovare la strada verso la redenzione e la felicità.
Rappresenta la lotta dell’Innocenza contro il Male. Nella sua ottica di bimbo il mondo degli adulti è incomprensibile.

Maestro ineguagliabile dell'intreccio e delle profonde emozioni, Dickens ha intessuto una storia che non conosce un attimo di sosta, una storia che continua ad avvincere e a commuovere i lettori di ogni paese e di ogni età.

Dickens si sofferma nella denuncia delle condizioni di vita in quelle che erano le Workhouses.
Una Workhouse era un luogo dove persone che non erano in grado di sostenersi potevano andare per vivere e lavorare. L'immagine della desolata, inospitale Workhouse è una delle incrollabili impressioni dell'Inghilterra Vittoriana.

Nel 1834, solo 3 anni prima che Vittoria divenne Regina, passò un atto parlamentare chiamato "Poor Law Amendment Act". Come risultato di ciò, molte workhouses furono costruite per sistemare persone povere. Erano state progettate per essere così rigide e oppressive che solo i veri bisognosi avrebbero cercato un rifugio in esse.
Si sperava che le case di lavoro avrebbero risolto il problema della povertà poiché molte persone ricche credevano che le persone erano povere a causa della loro pigrizia, e li chiamavano "undeserving poor" ovvero poveri indegni.
Molte famiglie erano così povere da venir classificate come "paupers". "Pauperism" era un termine usato per descrivere persone che non avevano modo di mantenersi. Ma la povertà non era causata da pigrizia, come credevano i benestanti, ma dalla disoccupazione, dall'incremento della popolazione e dai prezzi alti del cibo.

Sfortunatamente, molti di loro morivano nelle workhouse a causa delle terribili condizioni.
Ancora peggio, alcuni bambini che nascevano nelle workhouse non vedevano mai il mondo esterno.

Ed è proprio per questi motivi che Charles Dickens ne parla, volendo denunciare la povertà che ampiamente dilagava all’epoca, gli abusi e i soprusi dei potenti; le malattie, l’enorme sofferenza della classe operaia che, gravata dalla profonda povertà, era costretta a rifugiarsi in questi luoghi infimi, sudici e senza speranza di futuro.


mercoledì 8 maggio 2013

La Via della Seta



Importante per la storia della tecnologia è il settore tessile. Fra tutti gli argomenti, molta attenzione e curiosità suscita la seta, questo prezioso e seducente filamento. La seta è una fibra proteica di un animale con la quale si possono ottenere tessuti tendenzialmente pregiati. La seta viene prodotta da alcuni insetti dell'ordine dei lepidotteri oppure dai ragni, la seta utilizzata per realizzare tessuti si ottiene dal bozzolo prodotto da bachi da seta.

La seta nell’antichità

La scoperta della lavorazione della seta in Cina è stata per lungo tempo ritenuta leggendaria. Secondo la tradizione, infatti, sarebbe stata la sposa di Huangdi, il mitico Imperatore Giallo e leggendario padre della civiltà cinese, vissuto intorno al 3.000 a.C., ad aver per prima scoperto le proprietà del filamento prodotto dai bachi da seta.
Difatti, i più antichi reperti in seta riportati alla luce provengono da siti della cultura tardo-neolitica di Liangzhu, fiorita tra il 3.300 e il 2.200 a.C. nella Cina orientale, nei pressi del Lago Tai, là ove si trovano oggi le moderne città di Hangzhou e Shanghai. Si tratta di pochi ma significativi ritrovamenti: un frammento di tessuto e i resti di una cintura in seta che tuttavia attestano inequivocabilmente come il materiale serico fosse già noto agli antichi Cinesi proprio all’epoca indicataci dalle leggende sull’Imperatore Giallo e la sua consorte.
Da quando l'Occidente la conobbe, proprio come il Giappone, venne colto da una vera a propria passione nei suoi riguardi e, a Roma, Plinio si stupiva del fatto che si potesse attraversare l'intero universo allora conosciuto, e a prezzo di mille pericoli, “perché una dama romana potesse dare sfoggio del proprio fascino sotto una garza trasparente”. Nella Città Eterna le sete, a quel tempo, valevano letteralmente tanto oro quanto pesavano.

I cinesi furono di gran lunga i primi a trarre la seta dal bozzolo del bruco della farfalla Bombyx mori, un baco che si nutre della tenera foglia del gelso (Morus).

 L'allevamento sistematico del baco da seta e lo sviluppo dell'industria tessile si possono osservare, dal punto di vista archeologico, dal XIV secolo a.C., ovvero con due dozzine di secoli d'anticipo sull'Occidente, che pure fin dall'inizio dell'era cristiana si dimostra muto d'ammirazione e impaziente di scoprire il segreto della fabbricazione di questo materiale meraviglioso, fine, soffice, morbido, a trama fitta, flessuosa, e di superba freschezza. Doveva tali qualità alla superiorità della sua fibra, eccezionalmente lunga; un filo di seta può raggiungere chilometri di lunghezza, mentre le altre fibre tessili non superano alcune decine di centimetri!

Si capirà perciò che ben presto la Cina venne designata, oltre i propri confini, come il paese della seta, a che i primi nomi che le vennero dati vi si riferissero; la indicavano come Serinde, nome che oggi si riferisce piuttosto alla regione del Xinjiang. La Cina fu anche la Serica, il Sericum, il paese della seta (si in cinese) e dei Serici.

Nel III secolo, il monaco Denys le Périégète esprimeva tutta la propria ammirazione: “I Serici fabbricano preziosi abiti elaborati, il cui colore assomiglia a quello dei fiori di campo; sono talmente leggeri da fare concorrenza alle tele di ragno”.

Del resto, la Via della Seta, a ponente della Cina, che la mise in relazione con l'Iran, l'India, l'Occidente ellenico e quindi romano, ebbe un'importanza fondamentale per la sua civiltà; è attraverso questa strada dell'Asia centrale che penetrarono in Cina il buddhismo, il mazdeismo, il nestorianesimo, durante i nostri primi secoli, e poi l'islamismo, a partire dall'VIII secolo.

Marco Polo e il ‘Milione’

Riconducendomi al nome del blog, amando la letteratura, e allo scopo di diffondere alcune curiosità, mi piacerebbe parlare dello straordinario viaggio del veneziano Marco Polo, e delle meraviglie da lui viste e raccolte nel suo celeberrimo libro il 'Milione'. 

Marco Polo si presenta come un uomo dotato di una straordinaria memoria che gli ha permesso di ricordare e di raccogliere in un libro, il Milione, le merveilles, meraviglie, del mondo, il riassunto di un viaggio durato ventisei anni. Fra l’altro il nome che oggi usiamo è posteriore alla stesura: risale al periodo in cui Marco ricominciò a lavorare al suo libro e, fra le varie aggiunte e  cambiamenti, cambiò anche il nome. Il “Milione” deriva dal secondo nome del ramo dei Polo, Emilione.
Marco viene liberato nel 1299 e fa ritorno a Venezia dove muore nel 1324, a settant’anni. Fra i suoi beni, oltre a proprietà, stoffe e oggetti orientali, vengono ritrovate le piastre d’oro che il Gran Kan consegnava a quelli che viaggiavano per lui, affinché fosse loro consegnato tutto il necessario per il viaggio attraverso le sue infinite terre.

Marco Polo ci racconta nei primi diciannove capitoli il viaggio del padre e dello zio, il loro ritorno a Venezia con l’incarico di chiedere al papa Clemente l’invio di “cento uomini savi” nelle terre del Gran Kan per istruire i popoli di quei luoghi sulle cose della religione cristiana. La madre del Gran Kan, infatti, era di religione cristiana. Il Papa Clemente era però morto in quei mesi. I Polo aspettarono tre anni l’elezione del nuovo Papa ma dovettero poi ripartire. Portarono con loro alcune lettere della Santa Sede che certificavano che il compito non era stato svolto poiché il Papa non era ancora stato rieletto. In questi capitoli, Marco Polo ci racconta anche del suo arrivo a Ciandu e del ritorno a Venezia. Dopodiché inizia l’ordinata descrizione delle terre che ha visitato ( o di cui ha sentito parlare da persone fidate).

Tigri, toccando probabilmente Mosul e Bagdad, oppure Tabriz, e giungendo al porto di Ormuz, forse con l'intenzione di proseguire il viaggio via mare; decisero invece di continuare lungo la via terrestre e, attraverso la Persia e il Khorasan, raggiunsero Balkh e il Badakhshan; in quaranta giorni di durissimo cammino superarono il Pamir  e scesero poi verso il bacino del Tarim; attraversato il deserto di Gobi con grandissima difficoltà, pervennero ai confini del Catai, nel Tangut, la provincia più occidentale della Cina da dove proseguirono lungo la parte settentrionale dell'ansa del Fiume Giallo arrivando infine a Khanbalik,l'odierna Pechino, dopo un viaggio durato tre anni e mezzo circa. I Veneziani furono ricevuti con molta festa da Kubilay, il quale non solo li accolse alla propria corte, permettendo loro di osservarne la vita in ogni particolare, ma si affezionò talmente a Marco, che ne fece il suo uomo di fiducia, cui affidava missioni ufficiali o personali anche nelle regioni più remote del suo Impero, fino in Birmania. Marco ebbe così modo di conoscere assai bene le condizioni di vita e i costumi di molte regioni dell'Asia, e svolse il suo compito con grande cura, raccogliendo le notizie che potevano interessare l'imperatore e osservando tutto con scrupolosa precisione. Dopo diciassette anni di soggiorno nel Catai i Veneziani sentirono il desiderio di tornare in patria: l'occasione si presentò quando Kubilay li incaricò di accompagnare in Persia la bellissima principessa Cocacn, promessa sposa del sovrano di quel regno. Attraversato il Mangi, cioè la Cina meridionale, la spedizione giunse al porto di Zayton ove nel 1292 si imbarcò su tredici navi, veleggiando quindi lungo le coste dell'Indocina, della penisola di Malacca, di Sumatra Piccola Giava, di Ceylon, dell'India, dove avvistò anche le Nicobare e le Andamane, e infine della Persia, fino a Ormuz. La missione alla corte persiana fu compiuta consegnando la principessa non al promesso sposo, che nel frattempo era deceduto, ma a suo nipote. Dopo una lunga sosta i Polo ripresero il cammino lungo il percorso già noto, ritornando infine a Venezia.

Non si può negare che la storia del giovane Veneziano che a soli diciassette anni aveva già visitato, o era in procinto di visitare, la maggior parte del mondo allora conosciuto è davvero strabiliante. E’ molto più strabiliante pensare che questo giovane ha poi messo per iscritto, con uno stile molto catalogico, tutto ciò che ha visto, indirizzandolo ai suoi contemporanei, come possiamo vedere nei punti in cui egli si rivolge a loro, per spiegarsi meglio o per avvisarli dell’omissione di qualche informazione che potrebbe spaventarli. Marco Polo tiene i suoi lettori per mano in questo grande viaggio attraverso l’Asia. E i lettori si lasciano condurre senza fare resistenze, impegnandosi per capire i punti più difficili o strani e per superare i problemi legati alla traduzione. Nelle sue innumerevoli traduzioni l’Asia perfetta di Marco Polo diventa incerta e sfuggente. L’originale di ciò che Marco ha visto è sparito per sempre: l’Asia, in continuo movimento, ha fatto in modo che non rimanesse memoria di alcun attimo rimasto uguale per sempre.

sabato 27 aprile 2013

In principio era il logos.

Parlando di storia e di come questa si rifletta nel presente, mi è venuto alla mente l'eterno scontro fra Fede e Scienza, il quale diviene sempre più aspro.
Questo perchè la religione nasce come bisogno dell'uomo di dare una spiegazione a fenomeni a lui sconosciuti e a prima vista inspiegabili. 

La filosofia ci dona chiari esempi di questo: per Kierkegaard la realizzazione dell'uomo sta nell'adempimento perfetto della volontà di Dio, anche se questo dovesse andare contro la propria coscienza. infatti l'uomo è perfetto nello stato teologico, di Abramo, che non rifiutò di sacrificare l'unico figlio unigenito perchè volontà divina. Ogni uomo, infatti, per sconfiggere l'angoscia, deve vivere come Abramo e fare di Dio la propria esperienza personale. Dio infatti si incontra solo nella propria coscienza, e non fuori di essa. 
Già in Feurbach si ha una prima impressione di ateismo, poichè egli vede Dio come una nostra proiezione, la quale ci aiuta ad alleggerire i nostri pesi. Dio diventa quindi una mera illusione.
Per Marx, la religione è l'oppio dei popoli, Dio risulta la più grande alienazione per l'uomo, che pensa che ci sarà una vita migliore in un altro mondo che non gli fa affrontare quello terreno. 

Nel corso degli anni le visioni ateiste si sono andate rinforzando grazie anche ai grandi progressi attuati dalla scienza, la quale ha reso più tangibile ciò che sembrava trascendere.


Vorrei soffermarmi su un incontro tenutosi lo scorso 20 Aprile a Bari fra Ezio Mauro e il Cardinal Ruini, in merito a delle manifestazioni organizzate da 'La Repubblica', la 'Repubblica delle Idee'. Gli incontri sono stati intitolati in modo curioso ed accattivante : '' In principio era il logos. Prove di dialogo tra ragione e fede. ''

 Camillo Ruini, per sedici anni presidente della Conferenza episcopale italiana, vede in papa Bergoglio una speranza di rinnovamento e riforma della Chiesa. Eppure questa sembrerebbe rimanere quella di sempre, quella che dovrebbe ispirarsi di più alla misericordia di Cristo per restare protagonista dei tempi futuri.

Papa Francesco sembra l'uomo perfetto per far recuperare credibilità ad una Chiesa ormai tempestata di scandali, disorientata, confusa.  
Alle pungenti domande del direttore de 'La Repubblica', lo stesso Ruini ammette: gli scandali c'erano, sì, erano davvero percepiti come italiani e questo può aver inciso. "Ma la scelta del pontefice è stata dettata da altro. Non l'avevo immaginato, devo dirlo francamente, pur avendo apprezzato gli interventi di Bergoglio nelle riunioni preparatorie al Conclave". Poi la scelta del nome: "Un significato - spiega Ruini - importante, fondamentale: Francesco rappresenta l'incarnazione di Cristo".

La nomina di otto cardinali consiglieri fa sperare nei primi segni di cambiamento, ma la Chiesa non sembra comunque cambiare rotta sui temi cruciali e bollenti che bloccano il nostro Paese.
La Chiesa sarà ancora presente nella vita politica e sociale del nostro Paese e non solo ? In Francia, ad esempio, l'episcopato ha alzato le barricate dinanzi all'ipotesi di matrimoni omosessuali.

"E se la stessa Chiesa andasse in minoranza?", provoca Ezio Mauro. "Nessun problema", replica Ruini, secondo il quale "per divorzio e aborto, tanto per citare il caso italiano, la Chiesa non ha invitato alla rivolta civile, ma s'è appellata alla coscienza personale, perché l'uomo non ha solo una libertà esteriore, bensì una, ed è quella più importante, interiore". Con un rischio però: "Che la cosiddetta obiezione di coscienza - chiede ancora Ezio Mauro - alla fine porti a un mancato riconoscimento di leggi valide per tutti e che la legge del creatore abbia il sopravvento sulla legge delle creature. Questa sì dovrebbe avere il sopravvento".

Ora, è vero che la Chiesa è libera di lanciare appelli alla coscienza personale di ognuno, ma questo non deve bloccare riforme e provvedimenti che ad oggi risultano essere più che fondamentali. La fede è una scelta prettamente personale, credere o non credere è lasciato alle singole coscienze. Ognuno è libero, e tale deve rimanere. La libertà di scelta non deve essere ostacolata dal pensiero personale di alcuno.

Ruini conclude affermando che : "Il mondo intero è cambiato e non possiamo non accorgercene". 


Diamo voce a questo cambiamento, iniziamo ad esserne parte integrante.

domenica 21 aprile 2013

Il folle volo

Pensando alla storia vengono subito in mente le più folli gesta eroiche. Fra tutti si può pensare al celebre Ulisse, narrato da Omero nella sua 'Odissea', e celebrato per la sottigliezza del suo ingegno.

Figlio di Laerte, sposo di Penelope, padre di Telemaco, re di Itaca. Dopo la presa di Troia vagò per molti anni lontano dalla sua patria a causa dell'ira degli dei nei suoi confronti; questi lo portano a sopportare fatiche e traversie, da Ulisse superate con grande e imprevedibile astuzia.

Del celebre Ulisse parlò anche Dante, nel XXXVI canto del suo Inferno.
Ulisse si trova nell'ottava bolgia, quella dei consiglieri fraudolenti, i quali usarono il loro ingegno per fini diversi dalla verità e dalla giustizia, allontanandosi dal bene.
Punto focale del canto è la digressione sul 'Folle volo' verso la conoscenza di Ulisse e dei suoi prodi.

A prima vista sembrerebbe che Dante potesse confermare l’idea di un Ulisse eroe della conoscenza, il quale fino alla fine ha inseguito il desiderio di vedere e sapere le cose del mondo, come massima realizzazione della natura e eccellenza dell’uomo. Dante riporta infatti queste parole, dette dalla bocca dell'Ulisse stesso: fatti non foste per viver come bruti,/  ma per seguir virtute e canoscenza. ' 
Si tratterebbe in realtà di una visione parziale; considerando l’intero sviluppo dell’episodio e del tragico epilogo, Ulisse diventa invece il simbolo dell’abuso e dell’insufficienza dell’ingegno umano a raggiungere la verità. L’ansia, il desiderio di conoscenza non è illuminato dalla Grazia quando valica le colonne d’Ercole, cioè il limite imposto dal divino, motivo per cui la catastrofe è inevitabile.



La ricerca della verità lo porta quasi a raggiungere la meta, intravedendola da lontano sull'oceano,  ma non potrà raggiungerla perché senza la rivelazione della fede, l’intelletto umano è impotente a conoscere il mondo di verità e salvezza ultime, cioè Dio. Per questo, il significato dell’intera vicenda si riassume nella definizione che lo stesso Ulisse da del suo estremo viaggio, folle volo, impresa cioè che valica i limiti umani e forza i divieti stabiliti da Dio.
In questa luce va letto il richiamo che Dante fa a se stesso, uomo dotato, per dono divino, di alto ingegno, affinché non sprechi tale privilegio usandolo senza il sostegno della virtù di fede.


Concludendo, credo che Ulisse ci dia un insegnamento molto forte: non importa quali rischi si corrano, o cosa ci attende nel futuro, la sete di conoscenza deve sempre ardere in noi. Diventiamo eroi nel nostro piccolo; valichiamo i confini imposti dalla società, esploriamo, viaggiamo, conosciamo.