Tra non molto, giusto il tempo di finire il libro che sto leggendo, e tornerò per condividere con voi quelle che sono state le mie scelte di letture estive !
Spero di darvi qualche buon consiglio ! :)
lunedì 19 agosto 2013
lunedì 17 giugno 2013
Mappa Riassuntiva
Propongo qui ora un percorso riassuntivo del blog, giusto per chiarire un po' le idee !
La conoscenza e l'intelletto-> Ulisse e il folle volo http://caterinagallone.blogspot.it/2013/04/pensando-alla-storia-vengono-subito-in.html
Il sapere nei secoli-> In principio era il logos
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/04/in-principio-era-il-logos.html
Oltre i confini-> Marco Polo e le vie della seta
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/la-via-della-seta.html
Innovazioni tecnologiche-> Rivoluzione industriale, Oliver Twist
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/un-mondo-in-mutamento-rivoluzione.html
Conoscenza storica-> L'esercito romano
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/un-salto-nellantica-roma.html
Tecnologia storica-> I mulini a vento, Don Chisciotte
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/06/i-grandi-dolanda-mulini-vento.html
Alla scoperta delle origini-> Tecnologia nella mitologia
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/06/questoggi-ci-occupiamo-di-unargomento.html
Appare chiaro che il mio intento sia proprio quello di riscoprire la tecnologia e la conoscenza attraverso la letteratura nei secoli.
Spero di esservi stata utile finora !
La conoscenza e l'intelletto-> Ulisse e il folle volo http://caterinagallone.blogspot.it/2013/04/pensando-alla-storia-vengono-subito-in.html
Il sapere nei secoli-> In principio era il logos
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/04/in-principio-era-il-logos.html
Oltre i confini-> Marco Polo e le vie della seta
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/la-via-della-seta.html
Innovazioni tecnologiche-> Rivoluzione industriale, Oliver Twist
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/un-mondo-in-mutamento-rivoluzione.html
Conoscenza storica-> L'esercito romano
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/05/un-salto-nellantica-roma.html
Tecnologia storica-> I mulini a vento, Don Chisciotte
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/06/i-grandi-dolanda-mulini-vento.html
Alla scoperta delle origini-> Tecnologia nella mitologia
http://caterinagallone.blogspot.it/2013/06/questoggi-ci-occupiamo-di-unargomento.html
Appare chiaro che il mio intento sia proprio quello di riscoprire la tecnologia e la conoscenza attraverso la letteratura nei secoli.
Spero di esservi stata utile finora !
martedì 11 giugno 2013
Mitologia e tecnologia
Quest’oggi ci occupiamo di un
argomento che sembra scostarsi un po’ dai miei scopi e dalle questioni
solitamente trattate, ma che in realtà mi affascina molto, e che risulta in
realtà vicino alla storia e alla tecnologia. Parliamo dei miti nel mondo
antico.
La mitologia per l’uomo era
strumento eccelso per dare spiegazioni valide a fenomeni non spiegati
scientificamente, ci occupiamo qui di alcuni dei miti più inerenti la
tecnologia e la sua nascita.
La tecnologia ha sempre avuto un
ruolo rilevante, basti pensare ad Efesto, il fabbro degli dei, a cui vengono
attribuite le più stupefacenti invenzioni mitologiche, quali la folgore di Zeus
e l’arco di Apollo.
Molto conosciuto è il
mito di Dedalo e Icaro. Dedalo, nato ad Atene, era
re della città. Si dedicò alla scultura e all'architettura; a lui sono
attribuite le invenzioni dell'ascia, la sega, il trapano, il passo della vite,
l'archipenzolo. E' stato maestro di suo nipote Talo, figlio di una sua sorella, che uccise per gelosia quando
Talo superò il maestro nella sua arte. L'Areopago, il tribunale, lo condannò
all'esilio perpetuo; Dedalo si rufugiò a Creta dove fu accolto benevolmente dal
re Minosse che gli commissionò il Labirinto per rinchiudere il Minotauro. A
Dedalo, si rivolse Arianna, la figlia di Minosse, per sapere come aiutare Teseo
a uccidere il Minotauro e uscire dal Labirinto, e come sappiamo il consiglio
del filo riuscì a far trionfare Teseo nell'impresa. Quando Minosse venne a
sapere che ad aiutare sua figlia e Teseo fu Dedalo, e non potendo prendersela
con la figlia fuggita insieme all'eroe, pensò di punire Dedalo, rinchiudendolo
insieme al figlio, Icaro, nel Labirinto,
che egli stesso aveva progettato. L'unico modo per uscire dal Labirinto era
evadere volando; ingegnoso come era, Dedalo costruì due paia di ali, uno per sè
e l'altro per il figlio. Si raccomandò con Icaro di restargli sempre dietro
durante il volo, di non strafare e soprattutto di stare attento a non
avvicinarsi troppo ai raggi del sole perchè, le ali, attaccate alle spalle con
della cera, potevano staccarsi in quanto il calore avrebbe sciolto la cera. Come
non detto, Icaro durante il volo, provando piacere si allontanò dal padre e
raggiunse i raggi del sole che sciolsero la cera e lo fecero precipitare nel
mare, dove morì. Dedalo triste e desolato, atterrò in Campania a Cuma, dove
costruì un tempio al dio Apollo, consegnando le ali che aveva inventato per
evadere dal Labirinto di Creta.
Interessante risulta essere il mito
di Prometeo.
Prometeo, aveva la virtù di
prevedere il futuro, quando i Titani sfidarono Zeus e vennero da lui
imprigionati nel Tartaro, preferì schierarsi dalla parte di Zeus, inducendo
Epimeteo a seguire il suo esempio. In verità, Prometeo era il più intelligente
della sua razza; aveva assistito alla nascita di Atena dalla testa di Zeus e la
dea stessa gli insegnò l'architettura, l'astronomia, la medicina, l'arte di
lavorare i metalli, l'arte della navigazione e altre utilissime, che egli poi a
sua volta insegnò ai mortali. Ma Zeus, che aveva deciso di distruggere l'intero
genero umano, ed era stato distolto da tale proposito soltanto dall'intervento
di Prometeo, si irritò nel vedere gli uomini divenire sempre più esperti e
potenti. Nel primo scontro con Zeus Prometeo imbandì un vitello di cui aveva
fatto due parti: da un lato le carni celate sotto il ventre dell'animale,
dall'altro le ossa, ravvolte nel morbido grasso. Poi, disse a Zeus di scegliere
la sua parte; l'altra doveva andare agli uomini. Zeus, ingannato
dall'apparenza, scelse la sacca con il grasso, e, quando scoprì che nascondeva
soltanto ossa, divenne furente contro Prometeo e contro i mortali che erano
stati favoriti da quell'inganno. Così punì l'oltraggio strappando agli uomini
il fuoco, ma Prometeo li soccorse di nuovo sottraendo semi di fuoco al carro del
Sole e portandoli sulla terra. Dopo quest’atto, oltraggioso nei confronti degli
dei, Prometeo fu incatenato a una rupe della Scizia, dove un'aquila gli rodeva
il fegato che sempre si rinnovava nella notte. Solo più tardi Eracle uccise
l'aquila e liberò Prometeo; ma Zeus ingiunse a Prometeo di portare, a perenne
ricordo della sua prigionia, un anello delle sue catene, dove fosse incastonato
un pezzetto della roccia alla quale era legato.
Prometeo era venerato nell'Attica come dio delle arti.
Quest’oggi ci occupiamo di un
argomento che sembra scostarsi un po’ dai miei scopi e dalle questioni
solitamente trattate, ma che in realtà mi affascina molto, e che risulta in
realtà vicino alla storia e alla tecnologia. Parliamo dei miti nel mondo
antico.
La mitologia per l’uomo era strumento eccelso per dare spiegazioni valide a fenomeni non spiegati scientificamente, ci occupiamo qui di alcuni dei miti più inerenti la tecnologia e la sua nascita.
La tecnologia ha sempre avuto un
ruolo rilevante, basti pensare ad Efesto, il fabbro degli dei, a cui vengono
attribuite le più stupefacenti invenzioni mitologiche, quali la folgore di Zeus
e l’arco di Apollo.
Interessante risulta essere il mito
di Prometeo.
Prometeo, aveva la virtù di
prevedere il futuro, quando i Titani sfidarono Zeus e vennero da lui
imprigionati nel Tartaro, preferì schierarsi dalla parte di Zeus, inducendo
Epimeteo a seguire il suo esempio. In verità, Prometeo era il più intelligente
della sua razza; aveva assistito alla nascita di Atena dalla testa di Zeus e la
dea stessa gli insegnò l'architettura, l'astronomia, la medicina, l'arte di
lavorare i metalli, l'arte della navigazione e altre utilissime, che egli poi a
sua volta insegnò ai mortali. Ma Zeus, che aveva deciso di distruggere l'intero
genero umano, ed era stato distolto da tale proposito soltanto dall'intervento
di Prometeo, si irritò nel vedere gli uomini divenire sempre più esperti e
potenti. Nel primo scontro con Zeus Prometeo imbandì un vitello di cui aveva
fatto due parti: da un lato le carni celate sotto il ventre dell'animale,
dall'altro le ossa, ravvolte nel morbido grasso. Poi, disse a Zeus di scegliere
la sua parte; l'altra doveva andare agli uomini. Zeus, ingannato
dall'apparenza, scelse la sacca con il grasso, e, quando scoprì che nascondeva
soltanto ossa, divenne furente contro Prometeo e contro i mortali che erano
stati favoriti da quell'inganno. Così punì l'oltraggio strappando agli uomini
il fuoco, ma Prometeo li soccorse di nuovo sottraendo semi di fuoco al carro del
Sole e portandoli sulla terra. Dopo quest’atto, oltraggioso nei confronti degli
dei, Prometeo fu incatenato a una rupe della Scizia, dove un'aquila gli rodeva
il fegato che sempre si rinnovava nella notte. Solo più tardi Eracle uccise
l'aquila e liberò Prometeo; ma Zeus ingiunse a Prometeo di portare, a perenne
ricordo della sua prigionia, un anello delle sue catene, dove fosse incastonato
un pezzetto della roccia alla quale era legato.
Prometeo era venerato nell'Attica come dio delle arti.
lunedì 3 giugno 2013
I ''grandi'' d'Olanda - Mulini a vento
"Ed ecco intanto
scoprirsi da trenta o quaranta mulini da vento, che si trovavano in quella
campagna; e tosto che don Chisciotte li vide, disse al suo scudiere: «La
fortuna va guidando le cose nostre meglio che noi non oseremmo desiderare. Vedi
là, amico Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più smisurati
giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita cominciare ad
arricchirmi colle loro spoglie; perciocché questa è guerra onorata, ed è un
servire Iddio il togliere dalla faccia della terra sì trista semente. — Dove,
sono i giganti? disse Sancio Pancia. — Quelli che vedi laggiù, rispose il
padrone, con quelle braccia sì lunghe, che taluno d'essi le ha come di due
leghe. — Guardi bene la signoria vostra, soggiunse Sancio, che quelli che colà
si discoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le
paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare
la macina del mulino. — Ben si conosce, disse don Chisciotte, che non sei
pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e
mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disugual
tenzone.» Detto questo, diede de' sproni a Ronzinante, senza badare al suo
scudiere, il quale continuava ad avvertirlo che erano mulini da vento e non
giganti, quelli che andava ad assaltare".
La frase "combattere contro i mulini a vento" viene utilizzata quando ci si scontra con nemici immaginari, o anche quando la battaglia viene considerata persa in partenza.
In questo caso,
però, ci soffermiamo sui mulini a vento reali, non dettati dalle lotte civili,
sociali, e psicologche, illustrando le loro funzioni, la loro storia, e qualche
piccola curiosità.
I mulini a vento hanno origine persiana. Gli storici
sono concordi nell'affermare che i primi esemplari vennero costruiti nel VII secolo d.C.
nei territori che oggi appartengono all'attuale Iran.
Il
mulino a vento è una struttura costruita per sfruttare l'energia del
vento trasformandola in energia meccanica utilizzabile per scopi o processi
agricoli, artigianali e industriali.
Erano sostenuti da
strutture innalzate sulla torre di un castello o in cima ad una collina ed
erano costituiti da un vano superiore che ospitava le mole e da uno inferiore
che alloggiava il rotore.
Utilizzati per macinare
cerali e azionare le pompe per l'irrigazione dei campi, i mulini persiani erano
dotati di pale di stuoia intrecciate che, spinte dal vento, mettevano in moto
una ruota alla quale queste erano fissate.
Era anche abitudine ricoprire metà della ruota, spesso con un muro: un accorgimento attraverso il quale non si rischiava che le pale, trovandosi momentaneamente controvento, frenassero il movimento della ruota.
Era anche abitudine ricoprire metà della ruota, spesso con un muro: un accorgimento attraverso il quale non si rischiava che le pale, trovandosi momentaneamente controvento, frenassero il movimento della ruota.
L'uso dei mulini non si diffuse immediatamente in tutto il mondo: per
vederli arrivare in Europa, infatti, dobbiamo aspettare il XII secolo.
Si può dedurre l'inizio di questa 'esotica' usanza grazie ad una bolla pontificia datata 1105, nella quale si autorizzava la costruzione di mulini a vento nelle diocesi di Coutances, Bayeuz e Evreux.
Si può dedurre l'inizio di questa 'esotica' usanza grazie ad una bolla pontificia datata 1105, nella quale si autorizzava la costruzione di mulini a vento nelle diocesi di Coutances, Bayeuz e Evreux.
I mulini europei erano molto più grandi rispetto a quelli persiani, oltre
ad essere dotati di un maggior gradi di complessità.
I mulini a vento hanno
avuto una notevole importanza nel sollevamento dell'acqua in Olanda e in
Inghilterra prima dell'invenzione della macchina a vapore.
Nell'area del Mare
Mediterraneo orientale in passato si era diffuso anche un modello di mulino
eolico chiamato mulino fenicio, in cui le pale erano posizionate all'interno
del corpo della costruzione, di forma cilindrica. Le finestre sul mulino
indirizzavano l'aria all'interno muovendo le pale. Questo tipo di mulino era
adatto a zone con venti deboli ma costanti. Un bell'esempio di mulino fenicio è
situato nel comune di Borgio Verezzi in provincia di Savona.
In Italia antichi mulini
a vento a sei pale, conservati o restaurati, sono ancora utilizzati nelle
saline di Trapani per la macinazione del sale o per il pompaggio
dell'acqua marina da una vasca all'altra della salina.
I mulini in Olanda
Per
secoli i mulini (molen) sono stati uno strumento irrinunciabile della vita
degli olandesi; infatti ancora oggi per dire che qualcuno è impazzito, si dice
che deve essere stato colpito in testa dalla pala di un mulino. In passato nei
Paesi Bassi c’erano più di 10.000 mulini e venivano spesso usati sia per la
macinazione industriale del mais, che per drenare l’acqua in eccesso. I mulini
a vento sono festeggiati ancora oggi: nella Giornata nazionale del mulino e per
le festività nazionali vengono decorati con fiori, immagini di angeli ed in
alcuni casi con la bandiera olandese.
Storicamente, i mulini a vento
olandesi avevano molte funzioni. La più importante era probabilmente pompare
l’acqua dal terreno e immetterla nei fiumi al di là delle dighe, per ottenere
terreno coltivabile. Nel quattordicesimo secolo i mulini vuoto all’interno
erano usati per far funzionare enormi ruote che prosciugavano i terreni
acquitrinosi.
Il Mulino de Roos a Delft è nato ad
esempio con questa funzione, e solo nel diciottesimo secolo è stato ricostruito
su una base in pietra più alta; oggi è stato restaurato ed è visitabile.
Ad Amsterdam c’è il Mulino de Otter,
l’unico mulino-segheria ancora in attività; il Mulino de Valk (“Il Falco”) di
Leida, ora restaurato, è tornato a macinare il grano, ed è anche un museo, a
testimonianza della storia dei mulini a vento nella zona.
lunedì 27 maggio 2013
Un salto nell'antica Roma
Il mio intento quest'oggi è di parlarvi di qualche curiosità sull'esercito romano, mostrandovene le tecniche, la furbizia, l'ingegno, e l'efficienza.
Anche se in questo caso si tratta di tecniche belliche, a chi non farebbe piacere un piccolo salto nel nostro glorioso passato ?
L'esercito romano fu l'insieme delle forze militari terrestri e di mare che servirono Roma antica, nella serie di campagne militari che caratterizzarono la sua espansione, dall'epoca dei sette re, alla Repubblica romana, all’epoca imperiale e fino al definitivo declino.
Anche se in questo caso si tratta di tecniche belliche, a chi non farebbe piacere un piccolo salto nel nostro glorioso passato ?
L'esercito romano fu l'insieme delle forze militari terrestri e di mare che servirono Roma antica, nella serie di campagne militari che caratterizzarono la sua espansione, dall'epoca dei sette re, alla Repubblica romana, all’epoca imperiale e fino al definitivo declino.
''
[...] riguardo alla loro organizzazione militare, essi hanno questo grande
impero come premio del loro valore, non come dono della fortuna. Non è
infatti la guerra che li inizia alle armi e neppure solo nel momento dei
bisogno che essi la conducono [...], al contrario vivono quasi fossero nati con
le armi in mano, poiché non interrompono mai l'addestramento, né stanno ad
attendere di essere attaccati. Le loro manovre si svolgono con un impegno pari
ad un vero combattimento, tanto che ogni giorno tutti i soldati si esercitano
con il massimo dell'ardore, come se fossero in guerra costantemente. Per questi
motivi essi affrontano le battaglie con la massima calma; nessun panico li fa
uscire dai ranghi, nessuna paura li vince, nessuna fatica li affligge,
portandoli così, sempre, ad una vittoria sicura contro i nemici [...]. Non si
sbaglierebbe chi chiamasse le loro manovre, battaglie senza spargimento di
sangue e le loro battaglie esercitazioni sanguinarie. ''
(Giuseppe
Flavio, La guerra giudaica, III, 5.1.71-75.)
La
superiorità romana nelle imprese belliche era dovuta a vari fattori: la
perfetta organizzazione, il continuo addestramento, il cambiamento innovativo
dei mezzi e delle armi, la diversità dei luoghi o del nemico, che portavano ad
apprendere o ad inventare tecniche e strategie sempre nuove. Il tutto era
condotto con estrema consapevolezza, razionalità e creatività.
Il
cittadino romano sentiva parlare sin da piccolo delle incredibili gesta di
padri, nonni, avi; al che, sin dall'infanzia veniva addestrato alla vita
militare; studiava arte militare e trascorreva 10 anni di formazione negli
accampamenti e sui campi di battaglia.
Tutti
gli uomini della penisola erano chiamati alle armi. Dai 17 ai 45 anni erano
destinati alle guarnigioni mobili per il pronto impiego nei luoghi richiesti,
dai 45 ai 60 erano destinati alle guarnigioni territoriali per presidiare le
città in tempo di guerra.
Le
tecniche di questo periodo erano molto simili a quelle di altri popoli
italici, in particolare ai Latini, di cui Roma faceva parte, e
non dovevano essere di sicuro migliori di quelle utilizzate nella vicina Magna
Grecia. Si trattava di un combattimento semplice ma violento, non
particolarmente ordinato, tra poche centinaia di uomini dei vicini villaggi,
che poteva durare anche pochi minuti, difficilmente alcune ore.Vi era poi la
consuetudine di lanciare un potente grido di guerra per intimorire l'avversario,
prima dello scontro. A ciò si aggiungeva il fatto che spesso, sempre per
scoraggiare il nemico, venivano battute le aste o le spade contro gli scudi
generando un grande fragore: questo donava anche la sensazione di un esercito
molto numeroso, ben armato, e potente.
Ora
sulla base dei recenti ritrovamenti archeologici si è potuto notare che il
primo esercito romano, quello di epoca romulea, era costituito da fanti
che avevano preso il modo di combattere e l'armamento dalla civiltà
villanoviana della vicina Etruria. I guerrieri combattevano
prevalentemente a piedi con lance, giavellotti, spade, pugnali ed asce;
mentre solo i più ricchi potevano permettersi un'armatura composta da elmo e
corazza, gli altri una piccola protezione rettangolare sul petto, davanti al
cuore, delle dimensioni di circa 15 x 22 cm.
Il
combattimento, in verità, prevedeva, sulla base delle tradizioni omeriche,
una serie di duelli tra i "campioni" dei rispettivi schieramenti, in
genere tra i guerrieri più nobili, dotati di maggior coraggio e abilità (ad
esempio l'episodio tramandatoci degli Orazi e Curiazi), equipaggiati con
il miglior armamento. I patrizi ed i loro clienti più
ricchi, combattevano in prima linea, i soli a potersi permettere armature,
scudi, spade, elmi di qualità, oltre ad una cavalcatura.
L'esercito di Romolo,
descritto da Tito Livio, potrebbe essere stato, quindi, un'anticipazione
di quello di epoca successiva di Servio Tullio. Secondo Livio,
infatti, sarebbe stato Romolo a creare, sull'esempio della falange greca, la legione
romana, formata da 3.000 fanti e 300 cavalieri. La legione si disponeva su
tre file, con la cavalleria ai lati. Ogni fila di 1.000 armati
era comandata da un tribunus militum, mentre gli squadroni di
cavalleria erano alle dipendenze dei tribuni celerum.
Formidabili
l'esperienza e le tecniche dei Romani in fatto di guerra d'assedio.
Essi erano in grado di isolare rapidamente i luoghi da assediare. Vi
costruivano intorno un'ampia cerchia di fortificazioni, realizzavano terrapieni
che diventavano, piattaforme su cui si innalzavano le macchine da guerra: alte
torri mobili per avvicinarsi alle mura nemiche; arieti - travi con testa di
metallo, sospesi entro tettoie mobili - per aprire brecce nelle mura; catapulte
e baliste per scagliare grossi dardi e proiettili di ogni genere.
Il
soldato romano era in grado di fare lunghe marce, procedendo con una buona
velocità e con un pesante bagaglio che si aggirava sui 40 kg. Ogni
legionario portava infatti con sè le armi e le attrezzature per
l'accampamento, nonchè viveri per 15 giorni e oltre. Partendo da Roma, le
legioni erano in grado di raggiungere Brindisi in 15 giorni, Colonia in 67,
Antiochia in 124, compresi i 2 di navigazione. Questa velocità di
trasferimento delle truppe, straordinaria per il mondo antico, era possibile
grazie anche al fitto ed efficiente sistema viario che nella storia di Roma ha
sempre ricoperto una decisiva importanza strategica.
Oltre all'Italia l'Africa, la Spagna, la Gallia, la Britannia
erano percorse da una fitta rete di vie di comunicazione che, nate come
strumenti di dominio, svolsero poi anche una fondamentale funzione
civilizzatrice.
Quando
le truppe romane marciavano in un territorio nemico, ogni sera le legioni,
anche per la sosta di una sola notte, scavavano un campo trincerato secondo un
modello ricorrente: di forma quadrata, era circondato da un fossato, protetto
da una trincea (vallum) realizzata con la terra scavata dal
fosso e con una palizzata. Il campo aveva quattro porte, una per lato: la pretoria, di fronte
al nemico, la decumana dalla parte opposta, mentre le altre
due si chiamavano principali.
In
epoca imperiale l'estensione dei confini impose la necessità di un esercito
permanente, perciò la leva si basò su coscrizione volontaria, costituendo un
esercito professionale, necessario perchè la sopravvivenza dell'Impero non
poteva essere salvaguardata da truppe occasionali.
Nei
periodi di pace i soldati venivano impiegati non solo nella costruzione e nella
manutenzione di apprestamenti militari, ma anche in lavori di pubblica utilità.
Ogni legione aveva nel suo organico degli specialisti, genieri, capaci non solo
di edificare o abbattere mura e fortificazioni, ma anche di eseguire i rilievi
per un canale, di progettare e costruire strade, ponti, e quant'altro.
Spero
di aver dato una visione d'insieme dell'esercito romano, suscitando magari curiosità
per queste antiche tecniche non del tutto perdute, dato che alcune delle
strategie militari attualmente usate si rifanno proprio a quelle adoperate
nell'antica Roma. L'Impero Romano è e resterà sempre un capitolo fondamentale
della nostra storia, base del nostro vastissimo patrimonio culturale. La
conquista continua di terre, , le opere pubbliche, l'organizzazione
interna,furono alcuni dei fattori che lo portarono al massimo splendore. A
noi resta il piacere della scoperta, dell'apprendimento, e della storia.
mercoledì 15 maggio 2013
Un mondo in mutamento - Rivoluzione Industriale
Parlare di rivoluzione
industriale significa alludere all'avvio del processo di
industrializzazione che ebbe luogo in Inghilterra nella seconda metà del
settecento. La disponibilità di materie prime a buon prezzo, il controllo delle
vie commerciali e dei mercati coloniali, la disponibilità per il lavoro di
fabbrica di masse di lavoratori espulsi dalle campagne, e la disponibilità di
nuove tecnologie, gettano ottimi presupposti per l’avvio di questo
processo di grande cambiamento.
La rivoluzione industriale è un
processo di evoluzione economica che da un sistema agricolo-
artigianale- commerciale- porta ad un sistema industriale moderno
caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia
meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate
(come ad esempio i combustibili fossili).
La parola rivoluzione nasconde uno sviluppo
che in realtà è stato molto graduale. Effettivamente però il processo di
industrializzazione ha cambiato la storia degli uomini: dalla cosiddetta
‘rivoluzione neolitica’ non vi è stato nella storia umana un cambiamento più
grande. In ogni caso, il nuovo modo di produrre proveniente dall'Inghilterra
il modo industriale, o capitalistico (come dirà poi Marx), si diffuse
rapidamente in tutto il continente, per spostarsi poi verso il resto del mondo.
Il modo di produrre introdotto in questo periodo lo distingue da tutti i suoi
precedenti: ha la capacità di far crescere con una certa regolarità la
produzione. Da questo momento in poi le società sono capaci non solo di
produrre,
ma di accrescere il loro prodotto, ovvero
di svilupparsi economicamente.
Nasce così la classe
operaia che riceve, in cambio del
proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge allo stesso tempo il capitalista industriale, imprenditore proprietario
della fabbrica e dei mezzi di
produzione, che mira esclusivamente ad incrementare il profitto della
propria attività.
La rivoluzione industriale provocò
complessivamente un impressionante aumento della ricchezza, che andò
principalmente a favore delle classi alte, anzitutto della borghesia
capitalistica. Gli operai dal canto loro ricevevano bassi salari, e le donne e
i bambini - impiegati su vasta scala - retribuzioni ancora inferiori. In
generale i lavoratori non potevano fare affidamento su un impiego stabile,
poiché ogni fase sfavorevole del ciclo produttivo causava ondate di
disoccupazione senza che essi potessero contare su alcuna forma di protezione
sociale. Gli orari di lavoro erano mediamente da 13 a 15 ore giornaliere. I
ragazzi con più di 6 anni erano impiegati in larga misura in fabbrica; e con
essi persino bambini di 5 o addirittura di 4 anni.
Di questo sfruttamento
della forza lavoro, e della pessima condizione dei minori, Dickens ne parla nel
suo celebre libro ‘Oliver Twist’.
Oliver Twist
Dickens ha scritto quello
che è diventato un classico della letteratura universale a soli venticinque
anni. E come altri lavori di Dickens, Oliver Twist mette in evidenza diversi
problemi sociali dell’Inghilterra nella prima metà del 1800, come il lavoro minorile,
il reclutamento dei bambini per il crimine e le condizioni di degrado delle
città.
Ambientato in Inghilterra
all'inizio del XIX secolo, "Le avventure di Oliver Twist" racconta
l'appassionante storia di un orfanello, cresciuto in un ospizio di mendicità,
che viene costretto ad unirsi a una banda di malviventi e a partecipare con
questi a furti e rapine. Oliver vive un’infanzia di sofferenza, subisce
maltrattamenti ed è costretto a patire fame ed umiliazioni. Nessuno lo può
aiutare, ogni bambino dell’ospizio ha il solo scopo di sopravvivere a quella
miserevole e disumana esistenza.
Egli inizialmente non è
consapevole della risma delle persone che lo stanno accogliendo, ma pian piano
ne avrà coscienza. Oliver è buono e ingenuo e, nonostante tutte le sofferenze,
è incapace di provare risentimento o odio. Dopo innumerevoli, drammatiche
peripezie, e con l'aiuto di alcune persone che si affezionano a lui, Oliver
riesce tuttavia a trovare la strada verso la redenzione e la felicità.
Rappresenta la lotta dell’Innocenza
contro il Male. Nella sua ottica di bimbo il mondo degli adulti è
incomprensibile.
Maestro ineguagliabile dell'intreccio e delle profonde emozioni, Dickens ha intessuto una storia che non conosce un attimo di sosta, una storia che continua ad avvincere e a commuovere i lettori di ogni paese e di ogni età.
Maestro ineguagliabile dell'intreccio e delle profonde emozioni, Dickens ha intessuto una storia che non conosce un attimo di sosta, una storia che continua ad avvincere e a commuovere i lettori di ogni paese e di ogni età.
Dickens si sofferma nella
denuncia delle condizioni di vita in quelle che erano le Workhouses.
Una Workhouse era un luogo dove persone che
non erano in grado di sostenersi potevano andare per vivere e lavorare.
L'immagine della desolata, inospitale Workhouse è una delle incrollabili
impressioni dell'Inghilterra Vittoriana.
Nel 1834, solo 3 anni prima che Vittoria divenne Regina,
passò un atto parlamentare chiamato "Poor Law Amendment Act". Come
risultato di ciò, molte workhouses furono costruite per sistemare persone
povere. Erano state progettate per essere così rigide e oppressive che solo i
veri bisognosi avrebbero cercato un rifugio in esse.
Si sperava che le case di lavoro avrebbero
risolto il problema della povertà poiché molte persone ricche credevano che le
persone erano povere a causa della loro pigrizia, e li chiamavano
"undeserving poor" ovvero poveri indegni.
Molte famiglie erano così povere da venir classificate come "paupers". "Pauperism" era un termine usato per descrivere persone che non avevano modo di mantenersi. Ma la povertà non era causata da pigrizia, come credevano i benestanti, ma dalla disoccupazione, dall'incremento della popolazione e dai prezzi alti del cibo.
Sfortunatamente, molti di loro morivano nelle workhouse a causa delle terribili condizioni.
Ancora peggio, alcuni bambini che nascevano nelle workhouse non vedevano mai il mondo esterno.
Molte famiglie erano così povere da venir classificate come "paupers". "Pauperism" era un termine usato per descrivere persone che non avevano modo di mantenersi. Ma la povertà non era causata da pigrizia, come credevano i benestanti, ma dalla disoccupazione, dall'incremento della popolazione e dai prezzi alti del cibo.
Sfortunatamente, molti di loro morivano nelle workhouse a causa delle terribili condizioni.
Ancora peggio, alcuni bambini che nascevano nelle workhouse non vedevano mai il mondo esterno.
Ed è proprio per questi motivi che Charles
Dickens ne parla, volendo denunciare la povertà che ampiamente dilagava
all’epoca, gli abusi e i soprusi dei potenti; le malattie, l’enorme sofferenza
della classe operaia che, gravata dalla profonda povertà, era costretta a
rifugiarsi in questi luoghi infimi, sudici e senza speranza di futuro.
mercoledì 8 maggio 2013
La Via della Seta
Importante per la storia della tecnologia è il settore
tessile. Fra tutti gli argomenti, molta attenzione e curiosità suscita la
seta, questo prezioso e seducente filamento. La seta è una fibra
proteica di un animale con la quale si possono ottenere tessuti tendenzialmente
pregiati. La seta viene prodotta da alcuni insetti dell'ordine dei
lepidotteri oppure dai ragni, la seta utilizzata per realizzare
tessuti si ottiene dal bozzolo prodotto da bachi da seta.
La seta nell’antichità
La scoperta della lavorazione della seta in Cina è stata
per lungo tempo ritenuta leggendaria. Secondo la tradizione, infatti, sarebbe
stata la sposa di Huangdi, il mitico Imperatore Giallo e leggendario padre
della civiltà cinese, vissuto intorno al 3.000 a.C., ad aver per prima
scoperto le proprietà del filamento prodotto dai bachi da seta.
Difatti, i più antichi reperti in seta riportati alla
luce provengono da siti della cultura tardo-neolitica di Liangzhu, fiorita
tra il 3.300 e il 2.200 a.C. nella Cina orientale, nei pressi del Lago Tai,
là ove si trovano oggi le moderne città di Hangzhou e Shanghai. Si tratta di
pochi ma significativi ritrovamenti: un frammento di tessuto e i resti di una
cintura in seta che tuttavia attestano inequivocabilmente come il materiale
serico fosse già noto agli antichi Cinesi proprio all’epoca indicataci dalle
leggende sull’Imperatore Giallo e la sua consorte.
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Da
quando l'Occidente la conobbe, proprio come il Giappone, venne colto da una
vera a propria passione nei suoi riguardi e, a Roma, Plinio si stupiva del
fatto che si potesse attraversare l'intero universo allora conosciuto, e a
prezzo di mille pericoli, “perché una dama romana potesse dare sfoggio del
proprio fascino sotto una garza trasparente”. Nella Città Eterna le sete, a
quel tempo, valevano letteralmente tanto oro quanto pesavano.
I cinesi
furono di gran lunga i primi a trarre la seta dal bozzolo del bruco della
farfalla Bombyx mori, un baco che si nutre della tenera foglia del
gelso (Morus).
L'allevamento
sistematico del baco da seta e lo sviluppo dell'industria tessile si possono
osservare, dal punto di vista archeologico, dal XIV secolo a.C., ovvero con due
dozzine di secoli d'anticipo sull'Occidente, che pure fin dall'inizio dell'era
cristiana si dimostra muto d'ammirazione e impaziente di scoprire il segreto
della fabbricazione di questo materiale meraviglioso, fine, soffice, morbido, a
trama fitta, flessuosa, e di superba freschezza. Doveva tali qualità alla
superiorità della sua fibra, eccezionalmente lunga; un filo di seta può
raggiungere chilometri di lunghezza, mentre le altre fibre tessili non superano
alcune decine di centimetri!
Si
capirà perciò che ben presto la Cina venne designata, oltre i propri confini,
come il paese della seta, a che i primi nomi che le vennero dati vi si
riferissero; la indicavano come Serinde, nome che oggi si riferisce
piuttosto alla regione del Xinjiang. La Cina fu anche la Serica,
il Sericum, il paese della seta (si in cinese) e dei
Serici.
Nel
III secolo, il monaco Denys le Périégète esprimeva tutta la propria
ammirazione: “I Serici fabbricano preziosi abiti elaborati, il cui colore
assomiglia a quello dei fiori di campo; sono talmente leggeri da
fare concorrenza alle tele di ragno”.
Del
resto, la Via della Seta, a ponente della Cina, che la mise in relazione con
l'Iran, l'India, l'Occidente ellenico e quindi romano, ebbe un'importanza
fondamentale per la sua civiltà; è attraverso questa strada dell'Asia centrale
che penetrarono in Cina il buddhismo, il mazdeismo, il nestorianesimo, durante
i nostri primi secoli, e poi l'islamismo, a partire dall'VIII secolo.
Marco Polo e il ‘Milione’
Riconducendomi
al nome del blog, amando la letteratura, e allo scopo di diffondere alcune
curiosità, mi piacerebbe parlare dello straordinario viaggio del veneziano
Marco Polo, e delle meraviglie da lui viste e raccolte nel suo celeberrimo
libro il 'Milione'.
Marco Polo si presenta come un uomo dotato di una straordinaria memoria che gli ha permesso di ricordare e di raccogliere in un libro, il Milione, le merveilles, meraviglie, del mondo, il riassunto di un viaggio durato ventisei anni. Fra l’altro il nome che oggi usiamo è posteriore alla stesura: risale al periodo in cui Marco ricominciò a lavorare al suo libro e, fra le varie aggiunte e cambiamenti, cambiò anche il nome. Il “Milione” deriva dal secondo nome del ramo dei Polo, Emilione.
Marco
viene liberato nel 1299 e fa ritorno a Venezia dove muore nel 1324, a
settant’anni. Fra i suoi beni, oltre a proprietà, stoffe e oggetti orientali,
vengono ritrovate le piastre d’oro che il Gran Kan consegnava a quelli che
viaggiavano per lui, affinché fosse loro consegnato tutto il necessario per il
viaggio attraverso le sue infinite terre.
Marco
Polo ci racconta nei primi diciannove capitoli il viaggio del padre e
dello zio, il loro ritorno a Venezia con l’incarico di chiedere al papa
Clemente l’invio di “cento uomini savi” nelle terre del Gran Kan per istruire i
popoli di quei luoghi sulle cose della religione cristiana. La madre del Gran
Kan, infatti, era di religione cristiana. Il Papa Clemente era però morto in
quei mesi. I Polo aspettarono tre anni l’elezione del nuovo Papa ma dovettero
poi ripartire. Portarono con loro alcune lettere della Santa Sede che
certificavano che il compito non era stato svolto poiché il Papa non era ancora
stato rieletto. In questi capitoli, Marco Polo ci racconta anche del suo arrivo
a Ciandu e del ritorno a Venezia. Dopodiché inizia l’ordinata descrizione delle
terre che ha visitato ( o di cui ha sentito parlare da persone fidate).
Non
si può negare che la storia del giovane Veneziano che a soli diciassette
anni aveva già visitato, o era in procinto di visitare, la maggior parte del
mondo allora conosciuto è davvero strabiliante. E’ molto più strabiliante
pensare che questo giovane ha poi messo per iscritto, con uno stile molto
catalogico, tutto ciò che ha visto, indirizzandolo ai suoi contemporanei, come
possiamo vedere nei punti in cui egli si rivolge a loro, per spiegarsi meglio o
per avvisarli dell’omissione di qualche informazione che potrebbe spaventarli.
Marco Polo tiene i suoi lettori per mano in questo grande viaggio attraverso
l’Asia. E i lettori si lasciano condurre senza fare resistenze, impegnandosi
per capire i punti più difficili o strani e per superare i problemi legati alla
traduzione. Nelle sue innumerevoli traduzioni l’Asia perfetta di Marco Polo
diventa incerta e sfuggente. L’originale di ciò che Marco ha visto è sparito
per sempre: l’Asia, in continuo movimento, ha fatto in modo che non rimanesse
memoria di alcun attimo rimasto uguale per sempre.
sabato 27 aprile 2013
In principio era il logos.
Parlando di storia e di come questa si rifletta nel
presente, mi è venuto alla mente l'eterno scontro fra Fede e Scienza, il quale
diviene sempre più aspro.
Questo perchè la religione nasce come bisogno dell'uomo di
dare una spiegazione a fenomeni a lui sconosciuti e a prima vista inspiegabili.
La filosofia ci dona chiari esempi di questo: per
Kierkegaard la realizzazione dell'uomo sta
nell'adempimento perfetto della volontà di Dio, anche se questo dovesse andare
contro la propria coscienza. infatti l'uomo è perfetto nello stato teologico,
di Abramo, che non rifiutò di sacrificare l'unico figlio unigenito perchè
volontà divina. Ogni uomo, infatti, per sconfiggere l'angoscia, deve vivere
come Abramo e fare di Dio la propria esperienza personale. Dio infatti si
incontra solo nella propria coscienza, e non fuori di essa.
Già in Feurbach si ha una prima impressione di ateismo,
poichè egli vede Dio come una nostra proiezione, la quale ci aiuta ad
alleggerire i nostri pesi. Dio diventa quindi una mera illusione.
Per Marx, la religione è l'oppio dei popoli, Dio risulta la
più grande alienazione per l'uomo, che pensa che ci sarà una vita migliore in
un altro mondo che non gli fa affrontare quello terreno.
Nel corso degli anni le visioni ateiste si sono andate
rinforzando grazie anche ai grandi progressi attuati dalla scienza, la quale ha
reso più tangibile ciò che sembrava trascendere.
Vorrei soffermarmi su un incontro tenutosi lo scorso 20
Aprile a Bari fra Ezio Mauro e il Cardinal Ruini, in merito a delle
manifestazioni organizzate da 'La Repubblica', la 'Repubblica delle Idee'. Gli
incontri sono stati intitolati in modo curioso ed accattivante : '' In
principio era il logos. Prove di dialogo tra ragione e fede. ''
Camillo Ruini, per sedici anni presidente della
Conferenza episcopale italiana, vede in papa Bergoglio una speranza di
rinnovamento e riforma della Chiesa. Eppure questa sembrerebbe rimanere quella
di sempre, quella che dovrebbe ispirarsi di più alla misericordia di Cristo per
restare protagonista dei tempi futuri.
Papa Francesco sembra
l'uomo perfetto per far recuperare credibilità ad una Chiesa ormai tempestata
di scandali, disorientata, confusa.
Alle pungenti domande
del direttore de 'La Repubblica', lo stesso Ruini ammette: gli scandali
c'erano, sì, erano davvero percepiti come italiani e questo può aver inciso.
"Ma la scelta del pontefice è stata dettata da altro. Non l'avevo
immaginato, devo dirlo francamente, pur avendo apprezzato gli interventi di
Bergoglio nelle riunioni preparatorie al Conclave". Poi la scelta del
nome: "Un significato - spiega Ruini - importante, fondamentale: Francesco
rappresenta l'incarnazione di Cristo".
La nomina di otto
cardinali consiglieri fa sperare nei primi segni di cambiamento, ma la Chiesa
non sembra comunque cambiare rotta sui temi cruciali e bollenti che bloccano il
nostro Paese.
La Chiesa sarà ancora presente nella vita politica e
sociale del nostro Paese e non solo ? In Francia, ad esempio, l'episcopato
ha alzato le barricate dinanzi all'ipotesi di matrimoni omosessuali.
"E se la stessa Chiesa andasse in minoranza?",
provoca Ezio Mauro. "Nessun problema", replica Ruini, secondo il
quale "per divorzio e aborto, tanto per citare il caso italiano, la Chiesa
non ha invitato alla rivolta civile, ma s'è appellata alla coscienza personale,
perché l'uomo non ha solo una libertà esteriore, bensì una, ed è quella più
importante, interiore". Con un rischio però: "Che la cosiddetta
obiezione di coscienza - chiede ancora Ezio Mauro - alla fine porti a un
mancato riconoscimento di leggi valide per tutti e che la legge del creatore
abbia il sopravvento sulla legge delle creature. Questa sì dovrebbe avere il
sopravvento".
Ora, è vero che la Chiesa è libera di lanciare appelli alla
coscienza personale di ognuno, ma questo non deve bloccare riforme e
provvedimenti che ad oggi risultano essere più che fondamentali. La fede è una
scelta prettamente personale, credere o non credere è lasciato alle singole
coscienze. Ognuno è libero, e tale deve rimanere. La libertà di scelta non deve
essere ostacolata dal pensiero personale di alcuno.
Ruini conclude affermando che : "Il mondo intero è
cambiato e non possiamo non accorgercene".
Diamo voce a questo cambiamento, iniziamo ad esserne parte
integrante.
domenica 21 aprile 2013
Il folle volo
Pensando alla storia vengono subito in mente le più folli gesta eroiche. Fra tutti si può pensare al celebre Ulisse, narrato da Omero nella sua 'Odissea', e celebrato per la sottigliezza del suo ingegno.
Figlio di Laerte, sposo di Penelope, padre di Telemaco, re di Itaca. Dopo la presa di Troia vagò per molti anni lontano dalla sua patria a causa dell'ira degli dei nei suoi confronti; questi lo portano a sopportare fatiche e traversie, da Ulisse superate con grande e imprevedibile astuzia.
Del celebre Ulisse parlò anche Dante, nel XXXVI canto del suo Inferno.
Ulisse si trova nell'ottava bolgia, quella dei consiglieri fraudolenti, i quali usarono il loro ingegno per fini diversi dalla verità e dalla giustizia, allontanandosi dal bene.
Punto focale del canto è la digressione sul 'Folle volo' verso la conoscenza di Ulisse e dei suoi prodi.
A prima vista sembrerebbe che Dante potesse confermare l’idea di un Ulisse eroe
della conoscenza, il quale fino alla fine ha inseguito il desiderio di vedere e
sapere le cose del mondo, come massima realizzazione della natura e eccellenza
dell’uomo. Dante riporta infatti queste parole, dette dalla bocca dell'Ulisse stesso: ' fatti
non foste per viver come bruti,/ ma per
seguir virtute e canoscenza. '
Si tratterebbe in realtà di una visione
parziale; considerando l’intero sviluppo dell’episodio e del tragico
epilogo, Ulisse diventa invece il simbolo dell’abuso e dell’insufficienza dell’ingegno
umano a raggiungere la verità. L’ansia, il desiderio di conoscenza non è
illuminato dalla Grazia quando valica le colonne d’Ercole, cioè il limite
imposto dal divino, motivo per cui la catastrofe è inevitabile.
La ricerca della verità lo porta quasi a raggiungere la meta, intravedendola da lontano sull'oceano, ma non potrà raggiungerla perché senza la rivelazione
della fede, l’intelletto umano è impotente a conoscere il mondo di verità e
salvezza ultime, cioè Dio. Per questo, il significato dell’intera vicenda si
riassume nella definizione che lo stesso Ulisse da del suo estremo viaggio, folle volo, impresa cioè che valica i
limiti umani e forza i divieti stabiliti da Dio.
In questa luce va letto il richiamo che Dante fa a se
stesso, uomo dotato, per dono divino, di alto ingegno, affinché non sprechi
tale privilegio usandolo senza il sostegno della virtù di fede.
Concludendo, credo che Ulisse ci dia un insegnamento molto forte: non importa quali rischi si corrano, o cosa ci attende nel futuro, la sete di conoscenza deve sempre ardere in noi. Diventiamo eroi nel nostro piccolo; valichiamo i confini imposti dalla società, esploriamo, viaggiamo, conosciamo.
La ricerca della verità lo porta quasi a raggiungere la meta, intravedendola da lontano sull'oceano, ma non potrà raggiungerla perché senza la rivelazione
della fede, l’intelletto umano è impotente a conoscere il mondo di verità e
salvezza ultime, cioè Dio. Per questo, il significato dell’intera vicenda si
riassume nella definizione che lo stesso Ulisse da del suo estremo viaggio, folle volo, impresa cioè che valica i
limiti umani e forza i divieti stabiliti da Dio.
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